Con il permesso che l'autore, Enrico Bertolino, mi ha gentilmente concesso, pubblico questo pezzo apparso su "Il Mattino" di questa estate in un estremo tentativo di riabilitare Napoli e parte della Campania dallo scempio, anche mediatico, fatto a questa regione dai politici campani, tutti, e dai soliti aguzzini e insaziabili sciacalli che coltivano progetti delinquenziali e per i quali non vi è obiettivo migliore che una vittima ormai debole e indifesa. Uno scempio al quale porre rimedio ci vorranno anni e per il quale auguro , cristianamente parlando, ogni peggior male agli autori .
" Invitato all’apertura del Festival di Ravello da Mimmo De Masi, ho vissuto ancora una volta l’esperienza traumatizzante di partire la mattina da Milano e di trovarmi in piazza a Ravello all’ora dell’aperitivo.
Dopo quattro anni e dopo molteplici visite all’elegante vedetta della Costiera amalfitana, avrei dovuto essere preparato allo sbalzo ambientale, ovvero al salto dal piatto paesaggio della Padania al rigoglioso e profumato saliscendi delle strade ravellesi.
Eppure non mi abituo mai, e ogni volta mi stupisco di come, in una regione dove si parla di emergenza rifiuti, emergenza criminalità, emergenza lavoro, esista ancora un posto come Ravello dove l’emergenza più impellente adesso è quella di arrivare in tempo a Villa Rufolo prima che chiudano i cancelli ed inizi uno dei bellissimi concerti del festival.
Confesso candidamente che le prime volte non capivo come fosse possibile rallentare la vita, diminuire il passo e respirare sorridendo, il tutto sin dal valico di Chiunzi dove il sorbetto al limone dell’Ape parcheggiata al bivio sembra una pozione magica che cancella le ansie lombarde, le frette tipicamente milanesi spesso senza motivo.
Poi, dopo anni di frequentazioni, molto intense anche se poco assidue, mi sono accorto che la storia è la stessa del caffè napoletano.
Quando si arriva a Napoli e si beve il caffè, il milanese fa il suo inutile commento: «Eh sì, qui il caffè è un’altra cosa... sarà l’acqua»; idem quando si parla della pizza: «Il segreto è la pasta... eh sì, sarà l’acqua». Anche bevendo un bicchiere d’acqua verrebbe la voglia di dire: «Eh sì, l’acqua a Napoli è più buona, sarà l’acqua».
La stessa cosa accade in Costiera e soprattutto a Ravello. I limoni crescono come cedri del Libano perché nessuno gli fa fretta, così i paccheri e gli scialatielli sono così buoni perché cuociono senza l’angoscia di essere scolati troppo.
Altro che i quattro salti, questi in padella si adagiano ed aspettano i sapienti sughi di pesce.
E così le campane, che a Ravello suonano trascinando il suono per non mettere ansia.
Unica nevrosi un po’ lombardo austro-ungarica sono quei fuochi sparati di giorno, dove si sente il botto, si vede il fumo e la luminaria bisogna immaginarsela: come le discariche ed i poliziotti di quartiere, bisogna credere sulla fiducia che ci sono.
In tutto questo caos lento di sole, salite e discese, mare sullo sfondo e musica classica, il milanese, che corre sempre per non fermarsi a pensare almeno un minuto alla sua condizione, per un attimo si illude di essere padrone del suo tempo, di essere un uomo libero e affrancato dalla peggiore delle schiavitù: il senso di colpa per non aver lavorato sodo da dodici ore.
Ebbene, in quel momento vede i cancelli di Villa Rufolo che stanno chiudendo, privandolo così di un’altra tappa della sua vacanza a cottimo alla giapponese.
Ma i cancelli ormai sono chiusi e gli tocca restar fuori, in piazzetta davanti al Duomo, a riprovare un po’ del suo sano senso di colpa. Proprio in quel momento vede arrivare le nuvole incombenti di un temporale estivo ed i primi goccioloni abbattersi sul pubblico del concerto, rigorosamente all’aperto nello splendido scenario della costiera illuminata: e lì, seduto sotto il suo ombrellone, sorseggiando un aperitivo o un bel limoncello, vede la gente uscire e scappare dappertutto, pensando che se fosse capitato a Milano anche lui sarebbe stato come loro, correndo a cercare un portone o una triste fermata di autobus.
Ed invece è li seduto a pensare tra sé e sé: «Che bella la pioggia a Ravello, ma anche a Napoli e a Sorrento. Chissà come mai... Sarà l’acqua». Poi chiude gli occhi e si lascia addormentare dalla melodia delle gocce sul tendone.